In questo articolo verranno descritti i principi dell’ossigenoterapia ed i presidi utilizzati come interfaccia.

La somministrazione di ossigeno, che è a tutti gli effetti un farmaco, è utilizzata non solo in ambito ospedaliero ma anche a domicilio per il trattamento dell’insufficienza respiratoria.

L’ossigenoterapia può essere praticata in qualsiasi reparto e quindi non è da considerarsi una terapia specifica dei reparti di malattie respiratorie o di cure intensive.

Nelle unità operative di Cardiologia sono frequenti pazienti affetti da insufficienza respiratoria sia di origine cardiologica che non, e pertanto è indispensabile avere informazioni chiare e precise sui modi e i tempi di somministrazione di questo farmaco salvavita.

Che cos’è l’Ossigeno?

L’ossigeno (formula chimica O2) è un gas incolore e inodore. Nell’aria che respiriamo (aria ambiente) è presente in una percentuale del 21%. La restante parte è composta per il 75% circa da Azoto e per l’altro 14% da altri gas.

L’ossigeno (O2) viene prodotto e venduto come gas medicale (farmaco) per cui necessita di prescrizione medica, ma in caso di emergenza la sua somministrazione è consentita al personale infermieristico o chi abbia effettuato corsi specifici di addestramento (ad esempio i soccorritori acquatici o i bagnini) senza incorrere nell’esercizio abusivo della professione medica. Una direttiva è stata emanata dal Consiglio Superiore di Sanità nel 27/03/2012, che ha espresso un parere favorevole all’utilizzo di ossigeno in situazione di emergenza anche da parte del personale non sanitario in assenza di parere medico.

Per la somministrazione a domicilio è possibile reperire sia ossigeno gassoso in bombole metalliche che liquido in contenitori criogenici. Vediamo ora le piccole differenze che ci sono.

Ossigeno Gassoso: Rappresenta la fonte di prima scelta per la erogazione occasionale di ossigeno ed è prescrivibile con ricetta medica non specialistica. Distribuito nelle classiche bombole lunghe e bianche, l’ossigeno gassoso è racchiuso in bombole di acciaio o più recentemente in alluminio con fibre di carbonio per ridurne il peso, può essere contenuto in cilindri di diverse dimensione e capacità, catalogati con lettere dalla A alla H in senso progressivo di grandezza.  Il cilindro è fornito di un riduttore di pressione con selettore di flusso, il quale permette di selezionare la quantità di litri al minuto da somministrare.

Ossigeno liquido: E’ utilizzato per terapie a lungo termine, difatti si parla di OLT (ossigenoterapia a lungo termine) come una forma di ossigeno, utilizzato in bombole dedicate, che passa da una forma gassosa a una liquida a partire da temperature bassissime (-240°C o meno). Circa 850 litri di ossigeno gassoso si trasformano in 1 litro di ossigeno liquido e pertanto 1 litro di ossigeno liquido produce 850 litri di ossigeno gassoso quando abbandona il reservoir a temperatura ambiente, con conseguente vantaggio in termine di volume occupato. Un reservoir contiene circa 30-40 litri di ossigeno liquido e garantisce, al flusso di 2 litri al minuto, almeno 8-10 giorni di autonomia. Si registra naturalmente un certo grado di dispersione di circa 0,75 kg di ossigeno al giorno anche quando il device non è utilizzato. Dal reservoir principale l’ossigeno liquido può essere trasferito in stroller portatili ed è prescrivibile dopo piano terapeutico validato da specialista pneumologo.

 

Quali sono i suoi effetti collaterali?

Non solo l’ossigenoterapia iperbarica è collegata ad effetti avversi, ma lo è anche quella normobarica. In particolare ciò avviene con esposizioni molto prolungate o nei neonati (dove una concentrazione troppo alta di ossigeno può causare danni alla retina e cecità).

Negli adulti può verificarsi una sindrome da sovradosaggio da ossigeno, chiamata anche sindrome di Lorrain-Smith: vi è una lesione polmonare causata da un’esposizione per lungo tempo ad un’alta pressione parziale di ossigeno che porta ad una vasocostrizione, considerato un meccanismo di protezione contro il sovradosaggio. Si può arrivare fino ad una vera e propria ARDS (Adult Respiratory Dystress Syndrom) oppure alla fibrosi polmonare. Questi sono effetti avversi in pazienti che utilizzano l’ossigeno per periodi molto prolungati e a dosi eccessive.

Il caso più frequente di effetto avverso che l’infermiere si trova a gestire è l’ipercapnia, ovvero l’aumento della CO2 (anidride carbonica) che porta ad acidosi respiratoria. Nei pazienti con BPCO, ad esempio, è spesso ottimale avere una SpO2 anche dell’88-90%, per evitare proprio il rischio di ipercapnia da troppo ossigeno. Come indicazione generale vale la seguente regola: usare la più bassa concentrazione o flusso possibile per ottenere un livello di ossigeno nel sangue accettabile per quel tipo di paziente. Altri effetti collaterali sono la secchezza delle vie respiratorie, se somministriamo O2 non umidificato e i danni oculari, evidente soprattutto nelle terapie prolungate del neonato.

L’efficacia dell’ossigenoterapia dipende da un continuo monitoraggio dell’attività polmonare attraverso un controllo dei parametri vitali, quali frequenza respiratoria e saturazione, e procedure diagnostiche come l’emogasanalisi che permette in urgenza di fornire informazioni aggiuntive anche riguardante elettrolitici plasmatici, glucosio, emoglobina, lattati e valori ventilatori.

 

Quali sono i sistemi di erogazione?

L’ossigenoterapia ha come obiettivo la somministrazione di ossigeno a una concentrazione maggiore di quello che il paziente può respirare dall’aria ambiente.
I sistemi di erogazione possono essere centralizzati, a bombola e in camere iperbariche.

Il sistema centralizzato è presente in ambito ospedaliero, prevede lo stoccaggio dell’ossigeno in depositi centralizzati e la sua distribuzione direttamente verso i locali di degenza. In ogni posto letto sono presenti bocchettoni di colore bianco (colore universale dell’ossigeno) ai quali vengono collegati flussimetri per l’erogazione dell’ossigeno.

 


Le bombole vengono invece utilizzate per l’ossigenoterapia domiciliare e/o per trasferimenti dei pazienti. Sono conservate a riparo da fonti di calore e disposte in modo da eviate cadute accidentali.

Entrambi i sistemi di erogazione per essere funzionali necessitano di:

Manometro e valvola regolatrice del flusso per controllare la pressione;
Flussimetro che regola la quantità di aria (litri) al minuto;
Umidificatore (gorgogliatore) che permette di umidificare l’ossigeno con acqua sterile preconfezionata in contenitori sterili già dosati (acquapack);
Attacchi per i vari presidi che fungono da interfaccia per la somministrazione di ossigeno;

 

 

Infine l’Ossigenoterapia Iperbarica (OTI) è la somministrazione di ossigeno puro (o di miscele gassose iperossigenate), che avviene all’interno di speciali ambienti, le camere iperbariche. L’obiettivo principale è far aumentare la pressione parziale dell’ossigeno (aumentando la pressione assoluta del gas inalato) per facilitarne il passaggio nel sangue e nei globuli rossi. È un trattamento approvato per un numero limitato di patologie come per esempio le ustioni, le infezioni gravi, l’embolia gassosa, ferite dovute a radiazioni o in caso di avvelenamento di monossido di carbonio.

 

Quali sono i sistemi di interfaccia per la somministrazione di ossigeno?

I sistemi di ossigenoterapia posso essere suddivisi in sistemi a basso flusso o alto flusso.

 

SISTEMI A BASSO FLUSSO

CANNULE NASALI

Le cannule nasali sono le interfacce di gran lunga più utilizzate; Sono il presidio di scelta nel paziente stabile cronico. Consentono di parlare e di mangiare, costano poco e sono a basso rischio di re-breathing (rirespirazione) della CO2. Con la dovuta variabilità, ogni litro al minuto in più da 1 a 6 garantisce un incremento del 3-4% della FiO2. Solitamente il tubo di connessione raggiunge una lunghezza di 2 metri; anche se è stato dimostrato in un unico lavoro che una lunghezza del tubo di 30 metri non reca svantaggi sul flusso erogato, è bene che il tubo non superi la lunghezza di 7 metri. Permettono la somministrazione di 02 fino a massimo 6 L/m, altrimenti possono provocare secchezza nasale, e hanno lo svantaggio di non poter garantire un preciso controllo della FI02. Non sono utilizzabili se il paziente è in severo distress respiratorio o respira a bocca aperta.

 

 

MASCHERA FACCIALE SEMPLICE

Analogamente alle cannule nasali può erogare bassi flussi e necessita di un flusso di almeno 6l/m per poter evitare il rebreathing. E’ poco utilizzato a causa della sua pericolosità se il paziente è ipercapnico in quanto, come per le cannule nasali, il calcolo della FiO2 è impreciso. Si posiziona sul viso stringendo la linguetta di metallo sul naso e sistemando l’elastico intorno alla testa. Non è molto tollerato dal paziente.

 

 

MASCHERA CON RESERVOIR

La maschera con reservoir è un dispositivo a bassi flussi formato da una maschera semplice e da un “sacco polmone” (reservoir) che ha il vantaggio di arrivare ad erogare ossigeno con una concentrazione (FIO2) prossima al 90%.

È utile quando abbiamo necessità di alte concentrazioni di O2, come nel distress respiratorio, e per scongiurare il fenomeno del re-breathing è necessario utilizzare maschere con valvola e un flusso di almeno 10L/m. Per utilizzarla è bene prima riempire completamente il sacco polmone chiudendo la sua valvola di non ritorno, se dovesse svuotarsi è necessario aumentare il flusso di ossigeno.

 

SISTEMI AD ALTO FLUSSO

MASCHERA DI VENTURI

La maschera di Venturi è un dispositivo per l’erogazione di ossigeno a percentuali controllate ed ad alti flussi. Si basa sull’effetto detto Venturi, il cui principio dimostra che se la velocità di un fluido aumenta, la pressione diminuisce. Questo risultato è spiegato attraverso:
Teorema di Bernoulli: la velocità del flusso di un fluido in un condotto è inversamente proporzionale alla sezione del condotto stesso;
Legge di Poiseuille: un fluido esercita sulle pareti del condotto in cui scorre una pressione inversamente proporzionale alla velocità del fluido stesso;

 

La maschera di Venturi sfrutta l’effetto Venturi per erogare concentrazioni di O2 costanti; l’O2 sotto pressione passa attraverso uno stretto orifizio oltre il quale, aumentando di velocità, determina una pressione subatmosferica che risucchia l’aria ambiente dentro il sistema, attraverso alcune finestre poste sul condotto. Per ottenere una certa FiO2 è necessario un flusso minimo predeterminato (es. 50% – 12 L/min). Entrambi i dati sono segnalati sul dispositivo.

HIGH FLOW OXYGEN (SISTEMA ALTI FLUSSI)

L’ossigenoterapia ad alti flussi è un sistema di somministrazione dell’ossigeno riscaldato e umidificato, nel quale viene impostata una FiO2 da somministrare e un flusso di gas tale da essere superiore al picco di flusso inspiratorio del paziente e consente, in alcune circostanze (quando la bocca del paziente è chiusa) anche di ottenere una minimo effetto CPAP. Le interfaccia disponibili per l’utilizzo di questo dispositivo sono le maschere, i sondini nasali e le cannule per tracheostomia.

Tale sistema permette:
Wash out dello spazio morto anatomico con conseguente riduzione dello sforzo respiratorio. Tale effetto è reso possibile dall’utilizzo di nasocannule con sistema OPTIFLOW, che permettono la fuoriuscita dei gas che vengono “lavati”;
Precisa conoscenza della FiO2 impostata e somministrata;
Fluidificazione delle secrezioni e miglioramento della clearance ciliare, grazie alla somministrazione di ossigeno adeguatamente riscaldato ed umidificato (a 37°C la miscela di gas presenta il 100% di umidità relativa);

E’ indicato nel paziente con:
• Insufficienza respiratoria ipossiemica anche severa;
• Riacutizzazione della broncopneumopatia cronica ostruttiva;
• Post-estubazione;
• Post NIV;
• Pre-ossigenazione.

 

SISTEMI CPAP

Per CPAP si intende Continus Positive Airway Pressure ovvero l’applicazione di una pressione positiva nelle vie aeree ottenuta in genere con flusso continuo di gas e presente durante tutto l’atto respiratorio. Ci sono vari sistemi CPAP disponibili e la sua applicazione può essere ottenuta mediante Venturimetro o Flussimetro o anche con ventilatori polmonari di alta fascia.
L’interfaccia di scelta è il casco ma può anche essere applicata con maschera oronasale.
Per scoprire le interfacce nell’ Assistenza ventilatoria NIV con CPAP e la sua Gestione manuale nelle emergenze ci sono articoli con maggiore approfondimento.

 

Contatta l’ esperto in merito a questo argomento

 

Dott. Antonio Sannino
Infermiere –

Cardiologia Vanvitelli

Azienda dei Colli – Monaldi (NA)