Perché è necessaria una terapia antiaggregante “doppia” dopo angioplastica coronarica?

La terapia antiaggregante piastrinica rappresenta il “gold standard” della terapia della cardiopatia ischemica sia nella prevenzione primaria che secondaria degli accidenti cardiovascolari. Il processo di aterosclerosi infatti può culminare nella rottura della placca e di conseguenza alla formazione di un coagulo di piastrine che può occludere acutamente il lume di un vaso arterioso determinando ischemia/infarto a valle del tratto interessato.

Nei pazienti con malattia coronarica, l’angioplastica percutanea rappresenta un intervento fondamentale e molto utilizzato nella pratica clinica moderna. In presenza di malattia coronarica cronica – angina stabile – l’intervento di angioplastica permette di migliorare i sintomi e la qualità di vita eliminando i “restringimenti” delle arterie coronarie, che riducono il flusso di sangue al cuore durante lo sforzo fisico. In caso di malattia coronarica acuta – infarto acuto del miocardio – l’angioplastica coronarica consente di ripristinare il normale flusso sanguigno all’interno dei vasi coronarici, bruscamente interrotto dalla formazione di un trombo che blocca il flusso di sangue al cuore. In entrambi i casi, la risoluzione dell’ostruzione coronarica avviene grazie all’utilizzo di uno stent coronarico, un tubicino metallico, flessibile, che permette di dilatare e mantenere pervia l’arteria, ripristinando il normale flusso di sangue al cuore.

Tutti i pazienti che ricevono un intervento di angioplastica coronarica devono essere trattati con una “doppia” terapia antiaggregante. Ma perché? Lo stent coronarico è certamente un device salvavita, ma allo stesso tempo rappresenta un punto vulnerabile allo sviluppo di una nuova trombosi coronarica, soprattutto nei primi mesi dopo l’impianto. Questo perché il materiale di cui si compone, entrando in contatto con il sangue, può favorire la formazione di un coagulo al suo interno – trombosi di stent – che “chiude” acutamente lo stent determinando un’occlusione coronarica, spesso improvvisa e molto pericolosa. L’utilizzo di una forte terapia antitrombotica, ottenuta attraverso la combinazione di due farmaci antiaggreganti, si rende quindi necessario per prevenire lo sviluppo di una trombosi di stent e preservare il normale flusso di sangue al cuore post-angioplastica: si parla quindi di una terapia antiaggregante “doppia”.

 

Quali sono i farmaci che compongono la doppia terapia antiaggregante?

La doppia terapia antiaggregante è composta da due farmaci antiaggreganti, che vengono assunti quotidianamente dal paziente: in particolare, dalla combinazione dell’aspirina e di un inibitore del recettore piastrinico P2Y12.

L’aspirina a basse dosi (75-100 mg al giorno) rappresenta da sempre il farmaco antiaggregante più prescritto nei pazienti con malattia coronarica, sia in presenza di angina stabile che di infarto acuto del miocardio, ed è in grado di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari trombotici. In caso di angioplastica coronarica con impianto di stent, l’aspirina “da sola” non è in grado di prevenire la trombosi di stent ed è quindi necessario affiancarle un secondo farmaco antiaggregante in modo che la combinazione dei due determini un forte inibizione piastrinica prevenendo una nuova occlusione coronarica. I farmaci antiaggreganti prescritti in associazione all’aspirina sono gli inibitori del recettore P2Y12, ovvero il clopidogrel, il ticagrelor, ed il prasugrel.

Nei pazienti con malattia coronarica cronica (angina stabile), il farmaco di scelta da associare all’aspirina è il clopidogrel (75 mg, una volta al giorno). Diversamente, la doppia terapia antiaggregante nei pazienti con infarto acuto del miocardio prevede l’associazione aspirina + ticagrelor (90 mg, due volte al giorno), o aspirina + prasugrel (10 mg, una volta al giorno). La scelta del tipo di inibitore del P2Y12 da associare all’aspirina è legata al diverso rischio trombotico nei pazienti con malattia coronarica acuta e cronica: pazienti con infarto miocardico acuto richiedono una forte inibizione piastrinica che può essere assicurata solo da farmaci molto potenti come ticagrelor o prasugrel; al contrario, il clopidogrel, con effetto antiaggregante meno marcato, è il farmaco di scelta nei pazienti con coronaropatia cronica.

 

Per quanto tempo è necessario assumerla?

La doppia terapia antiaggregante viene iniziata in tutti i pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica, e proseguita come terapia domiciliare dopo la dimissione ospedaliera. A seguito dell’impianto intra-coronarico, lo stent viene progressivamente ricoperto dal normale tessuto vascolare, ed il rischio di trombosi tende a ridursi man mano che ci si allontana dall’intervento. Per questo motivo, la durata della doppia terapia antiaggregante è generalmente limitata al periodo inziale post-angioplastica, e dopo una prima fase in cui l’aspirina viene prescritta in combinazione con clopidogrel, ticagrelor, o prasugrel, si passa nella maggior parte dei casi ad una singola terapia antiaggregante in cui solo uno tra questi farmaci (generalmente l’aspirina) viene continuato. Ma quali sono i fattori che guidano una durata più o meno breve della doppia terapia antiaggregante? Il fattore centrale in questa scelta è sicuramente la presentazione clinica: nei pazienti sottoposti ad angioplastica per una malattia coronarica cronica (angina stabile) la durata è relativamente breve (da 1 a 6 mesi); diversamente, nei pazienti che ricevono un’angioplastica per il trattamento dell’infarto miocardico acuto, la terapia viene proseguita per un periodo più esteso (da 6 a 12 mesi). In ciascuna paziente, la durata della terapia viene individualizzata dal cardiologo in base al rischio trombotico ed emorragico che varia da persona a persona. Se è vero infatti che in tutti i pazienti sottoposti ad angioplastica è necessario iniziare una doppia terapia antiaggregante, è anche vero che questa terapia determina un incremento del rischio di sanguinamento. Per tale motivo, è importante fare un bilancio tra i possibili rischi e benefici di una terapia più breve o prolungata, al fine di poter scegliere, con un approccio “sartoriale”, la migliore strategia possibile in ciascun paziente.

 

Perché è importante una corretta aderenza terapeutica?

Affinché la terapia antiaggregante prescritta dal cardiologo risulti sicura ed efficace, è necessario che il paziente assuma i farmaci in modo corretto.

I fattori alla base della scarsa aderenza sono molteplici, e le “resistenze” nel seguire correttamente la terapia possono discendere da una limitata conoscenza della propria patologia, e da remore sui farmaci ed i loro effetti avversi. Numerosi studi hanno dimostrato come la scarsa aderenza alla terapia antiaggregante sia causa di un significativo aumento del rischio di trombosi di stent, infarto miocardico, morte e riospedalizzazione. Per questo motivo, è importante che il paziente segua con precisione la prescrizione terapeutica effettuata dal cardiologo, ed in caso di dubbi o effetti collaterali legati ai farmaci, è essenziale discutere la possibilità di modificare, sostituire, o interrompere la terapia con il proprio medico, al fine di trovare insieme una strategia condivisa che possa rappresentare la migliore soluzione per la propria salute.

 

 

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Dott. Felice Gragnano

Cardiologo, esperto nel trattamento dei pazienti con malattia coronarica ed infarto acuto del miocardio

UOC Cardiologia Clinica a direzione Universitaria

AORN S. Anna e S. Sebastiano

Caserta

Scuola di Dottorato di Ricerca in Medicina Traslazionale

Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali

Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

Napoli