La CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness and Innovations), organizzazione internazionale che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo e lo stoccaggio di vaccini contro microorganismi in grado di causare nuove e spaventose epidemie, sta coordinando i numerosi progetti per la preparazione di vaccini contro il nuovo virus SARS-CoV-2.
Partiamo dall’inizio, che cos’è il nuovo coronavirus? SARS-CoV-2 è un nuovo ceppo di coronavirus che non era stato mai precedentemente identificato nell’uomo. COVID-19 è il nome dato alla malattia associata al virus, in determinati casi rappresentata da una vera e propria sindrome respiratoria acuta grave.
A causa della recente scoperta del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta, le strategie adottate risultano molto diversificate fra loro e, di conseguenza, anche i tipi di vaccini in grado di proteggere dall’infezione.
In particolare, i ricercatori stanno lavorando su:
- Vaccino a RNA: si tratta di una sequenza di RNA sintetizzata in laboratorio che, una volta iniettata nell’organismo umano, induce le cellule a produrre una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria (producendo anticorpi che, conseguentemente, saranno attivi anche contro il virus);
- Vaccino a DNA: il meccanismo è simile al vaccino a RNA. In questo caso viene introdotto un frammento di DNA sintetizzato in laboratorio in grado d’indurre le cellule a sintetizzare una proteina simile a quella verso cui si vuole indurre la risposta immunitaria;
- Vaccino proteico: utilizzando la sequenza RNA del virus (in laboratorio), si sintetizzano proteine o frammenti di proteine del capside virale. Conseguentemente, iniettandole nell’organismo combinate con sostanze che esaltano la risposta immunitaria, si induce la risposta anticorpale da parte dell’individuo.
Nonostante la forte pressione esercitata dalla pandemia di COVID-19, e la speranza che ognuno di noi ripone nella ricerca scientifica, il futuro utilizzo di un vaccino deve essere necessariamente preceduto da studi rigorosi per valutarne efficacia e sicurezza. Al momento i vaccini noti, prossimi alla immissione in commercio sono essenzialmente due.
Un vaccino anti-Covid sviluppato congiuntamente dalla Pfizer e BioNTech è risultato efficace nel prevenire il 90 per cento delle infezioni durante la fase 3 della sperimentazione, che è ancora in corso. Anche l’azienda statunitense Moderna ha annunciato in un comunicato stampa che il suo vaccino contro il Covid — mRNA-1273 — ha una efficacia del 94.5%.
Tali risultati sono più che incoraggianti e offrono una speranza nel mezzo di una pandemia che ha ucciso oltre 1,2 milioni di persone e ne ha infettate 53 milioni nel mondo. Ma serve ancora tanta prudenza. La ricerca scientifica è la vera chiave per superare l’emergenza.
Fino ad oggi si sapeva, e si è spesso dichiarato negli ambienti scientifici, che per arrivare a un vaccino pronto alla somministrazione sulla popolazione occorre attendere circa 18 mesi dall’inizio della sperimentazione.
Pare che i tempi sono stati decisamente accorciati. La chiave di volta è che siamo di fronte al primo vaccino basato sulla tecnologia dell’mRna, la molecola che serve alla produzione della proteina spike di SARS-CoV-2 che permette al virus di infettare le cellule umane.
Si profila però un possibile intoppo sulla gestione di questi speciali vaccini, analizziamo alcune criticità.
Temperatura di conservazione
Nel caso Pfizer /BioNTech trattasi di un vaccino che ama temperature basse, a dir poco polari. Deve essere infatti conservato a -75°C. La formulazione di Moderna, invece, può essere conservata ad appena -20°C (dunque parrebbe avere un importante vantaggio competitivo) per un massimo di 6 mesi di stoccaggio. Poi deve restare conservata tra i 2°C e gli 8°C fino a un massimo di 30 giorni (non più un massimo di 7 giorni, come si stimava), e a temperatura ambiente per una ulteriore mezza giornata. Si tratta di informazioni non ancora definitive e certificate, ma la differenza tra i -75°C e i -20°C potrebbe rivelarsi un punto fondamentale.
Risposta negli anziani
Altro passaggio da chiarire. In genere i vaccini hanno meno efficacia sugli anziani perché presentano meno risposta immunitaria rispetto ai giovani. Un elemento chiave è allora conoscere il numero di anziani testati, e quanti con patologie gravi. Su questo, Pfizer ha comunicato che “I partecipanti iscritti allo studio clinico di fase 3 hanno un’età variabile tra i 16 e gli 85 anni e provengono da diverse etnie. Attualmente, sono stati iscritti oltre 43.000 partecipanti e il 41% ha un’età compresa tra i 56 e gli 85 anni. Il nostro trial includerà persone con HIV cronico, stabile e con infezione da epatite B/C”.
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali che hanno registrato finora non sono seri: un dolore da lieve a moderato per alcuni giorni nel punto in cui viene praticata l’iniezione, mentre alcuni dei volontari a cui è stato iniettato hanno registrato un breve periodo di febbre da lieve a moderata.
Durata dell’ immunità
Dal punto di vista della durata dell’immunità abbiamo solo indizi indiretti. Si può ipotizzare che la risposta immunitaria potrebbe durare circa un anno, ciò significherebbe che per combattere la pandemia occorrerà sottoporsi all’eventuale vaccino ogni 12 mesi.
Quando disponibili?
Entrambi i vaccini tuttavia non saranno disponibili su larga scala fino a primavera. Moderna ha annunciato che entro fine anno saranno disponibili 20 milioni di dosi per il mercato americano e tra 500 milioni e 1 miliardo di dosi entro il 2021. Leggermente diversi, ma non così lontani, i numeri di Pfizer-Biontech: 1,3 miliardi di dosi prodotte entro il prossimo anno, ma già i primi 50 milioni entro questo dicembre.
a cura di Roberto De Vito
Infermiere