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Colesterolo LDL e HDL. Facciamo differenza tra buono e cattivo.
Per ipercolesterolemia si intende una condizione caratterizzata dall’accumulo nel circolo sanguigno di colesterolo. I lipidi dell’organismo, soprattutto quelli non polari come i trigliceridi e gli esteri del colesterolo, sono veicolati da complessi lipoproteici (assimilabili a delle navicelle), che variano tra loro per forma, dimensioni e contenuto.
Il colesterolo HDL (in gergo definito “buono”) ha un elevato contenuto proteico, raccoglie i grassi dalla periferia e li veicola verso il fegato, dove qui sono metabolizzati ed escreti con la bile, come tale o sottoforma di acidi biliari; pertanto il termine buono è legato alla sua capacità di allontanare i grassi in eccesso, evitandone l’accumulo periferico.
La frazione LDL (“cattivo”), invece, ha una direzione opposta: trasporta il colesterolo esterificato ai tessuti periferici e permane nel circolo sanguigno per molto tempo, dove può andare incontro a processi di ossidazione. Qui le particelle LDL possono superare l’endotelio, cioè le cellule che tappezzano internamente i vasi, ed accumularsi nei macrofagi, contribuendo al meccanismo dell’aterosclerosi.
Tipi di ipercolesterolemia e rischio cardiovascolare
L’ipercolesterolemia può essere suddivisa in due grandi categorie:
– le forme primarie, in cui l’aumento è causato da mutazioni a carico di o più componenti coinvolti nel metabolismo delle lipoproteine. La forma più frequente è l’ipercolesterolemia poligenica, la cui causa è multifattoriale, determinata dall’interazione tra fattori ambientali e genetici ed in cui il valore di LDL raramente supera i 300 mg/dL; al secondo posto vi è l’iperlipidemia combinata familiare, con fenotipi variabili, coinvolgendo anche il profilo di trigliceridi; in ultimo l’ipercolesterolemia familiare, a trasmissione autosomica dominante, dove i valori di LDL possono raggiungere anche i 1000 mg/dL nelle forme in omozigosi.
– le forme secondarie sono le più frequenti e in crescente aumento nel mondo occidentale. Sono generalmente legate principalmente ad uno stile di vita non corretto come vita sedentaria, dieta ricca di acidi grassi saturi e carboidrati, abuso di fumo e alcool.
Attualmente le linee guida europee suggeriscono di stratificare il paziente in base al rischio cardiovascolare per personalizzare i valori di LDL ideali e di conseguenza la terapia; nello specifico i pazienti a rischio molto alto (pregresso infarto, insufficienza renale 4° o 5° stadio, diabete mellito con danno d’organo) hanno un target di LDL < 55 mg/dL, rischio alto (LDL > 190 mg/dL, diabete mellito senza danno d’organo che dura da più di 10 anni) < 70 mg/dL, rischio intermedio (diabete mellito da meno di 10 anni) < 100 mg/dL, rischio basso (SCORE risk < 1%) < 116 mg/dL.
Acido bempedoico: nuova arma a disposizione
Il trattamento dell’ipercolesterolemia è stato oggetto di numerosi studi nel corso dell’ultimo ventennio. Fondamentale è il cambiamento dello stile di vita, basato su esercizio fisico aerobico quotidiano, dieta eterogenea ricca di frutta e verdura, limitare il consumo di alcool, astenersi dal fumo. Tuttavia, spesso non è sufficiente per ottenere un colesterolo LDL in un valore “di sicurezza”.
E’ necessario sottolineare che i cut-off laboratoristici non tengono conto delle caratteristiche anamnestiche del paziente: il colesterolo LDL, per esempio, di 100 mg/dL è soddisfacente in un paziente con rischio cardiovascolare basso, è decisamente sopra soglia per i pazienti con profilo di rischio molto alto.
Una delle classi di farmaci più utilizzata per le dislipidemie sono le statine, molecole che agiscono bloccando l’HMG-CoA reduttasi, enzima coinvolto nella sintesi epatica del colesterolo, con una potente attività ipolipemizzante, soprattutto per quelle definite ad alta intensità come atorvastatina e rosuvastatina.
L’ezetimibe, invece, è un farmaco che blocca l’assorbimento intestinale di colesterolo proveniente dagli alimenti, agendo in sinergia con la statina (attualmente esistono formulazioni combinate). Più recenti sono gli inibitori della proteina PCSK9, somministrati sottocute a cadenza bisettimanale, che hanno una potente attività ipolipemizzante e sono usati come terzo step dopo il failure della terapia statina/ezetimibe.
Negli ultimi due anni è stato messo a punto un nuovo farmaco: l’acido bempedoico, che agisce bloccando l’ATP-citrato liasi, enzima a monte della sede in cui agiscono le statine. Viene somministrato per via orale ed, essendo pro-farmaco, viene convertito nella sua forma attiva, senza coinvolgere gli enzimi del muscolo scheletrico, con un rischio molto basso di miopatia. Il CLEAR HARMONY, trial randomizzato su 2230 pazienti durato 52 settimane, ha dimostrato come l’acido bempedoico sia capace di ridurre in maniera significativa il colesterolo LDL (circa il 23% rispetto al placebo) quando aggiunto a statina o ad altri ipolipemizzanti.
Le principali reazioni avverse sono state mialgie, aumentata incidenza di infezioni delle vie aeree ed iperuricemia. L’acido bempedoico, quindi, è pronto per affacciarsi nello scenario terapeutico delle dislipidemie, rappresentando una valida arma in associazione quando l’LDL non è a target o in alternativa nei pazienti che non tollerano la terapia standard.
Contatta l’esperto in merito a questo argomento.
Medico in Formazione Specialistica in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare
Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”
Ospedale Monaldi – Napoli
Dott. Andrea Antonio Papa
Cardiologo Aritmologo, esperto in diagnosi e terapia dei disturbi del ritmo cardiaco
Dirigente Medico I livello
UOC Cardiologia e UTIC
Università della Campania L. Vanvitelli
AORN dei Colli – Ospedale Monaldi
Napoli