Storia dell’emodinamica:

 

La storia della emodinamica nasce nel 1929, anno in cui Werner Forssman, presso l’Università Humboldt di Berlino, pubblicò “Über die Sondierung des rechten Herzens”, sul cateterismo del ventricolo destro.

Egli provò su se stesso l’inserzione, in maniera del tutto autonoma, di un tubicino di plastica per urologia nella vena del braccio, guidandolo fino alle cavità destre del cuore e realizzando una radiografia che in seguito pubblicò nel manoscritto.

La tecnica, troppo all’avanguardia per il periodo storico, fu in seguito abbandonata per diversi anni in considerazione dell’elevato rischio che essa implicava per l’inadeguatezza dei materiali del tempo.

Nel 1959 Mason Sones, cardiologo pediatra della Cleveland Clinic, mentre eseguiva un’aortografia, iniettò del mezzo di contrasto nella coronaria destra di un paziente di 27 anni, ottenendo per la prima volta l’opacizzazione di un’arteria coronaria. L’esperienza fu complicata da fibrillazione ventricolare fortunatamente risolta.

Nel 1968 Melvin P. Judkins (Oregon University) fece costruire in serie i primi cateteri diagnostici che vengono attualmente utilizzati nel laboratorio di emodinamica: Judkins curva sinistra (JL) per la coronaria sinistra, Judkins curva destra (JR) per la coronaria destra ed il caterere pig tail (a coda di maiale) per eseguire la ventricolografia.

Prima angioplastica coronarica

 

Finalmente nel 1977 Andreas Roland Grützing (Thomasschule, Leipzig, Germania) un medico tedesco, eseguì la prima angioplastica coronarica su un paziente cosciente e sveglio, dilatando con un catetere a palloncino una stenosi (restringimento) della coronaria sinistra di un uomo di 39 anni, dando così inizio ad una nuova era: trattare la malattia aterosclerotica con un metodo alternativo e molto meno traumatico della cardiochirurgia.
Questa tecnica venne successivamente descritta come angioplastica percutanea con solo pallone POBA (plain old balloon angioplasty).

 

Primo stent coronarico impiantato

 

Il tallone d’Achille della tecnica POBA era però quello di non essere efficace a lungo termine al 100%, infatti era presente una notevole incidenza di restenosi post-intervento. Da allora furono fatti notevoli progressi che culminarono nella nascita dello stent: un dispositivo medico metallico simile ad una piccola molla con maglie intrecciate; esso viene aperto e rilasciato grazie alla pressione esercitata da un palloncino montato al suo interno. La manovra di gonfiaggio avviene all’esterno del corpo del paziente utilizzando un dispositivo con manometro chiamato indeflator, lo stent una volta aperto si attacca alla parete del vaso.

Esistono varie misure di stent in commercio che differiscono per diametro (da 2 mm a 5 mm) e per lunghezza (da poco meno di 1 cm a circa 5 cm).

 

Il primo stent (ai tempi tutti gli stent erano metallici) fu impiantato nel 1986, quando la collaborazione di due medici Puel Rangueil (Hospital – Toulouse, France) e Ulrich Sigwart (University Hospital, Lausanne, Switzerland) consentì di impiantare uno stent autoespandibile, il Wallstent (Schneider AG, Bulach, Switzerland).

Nel 1999, Eduardo Sousa, presso l’Istituto Dante Pazzanese di Cardiologia a San Paolo in Brasile, impiantò il primo stent medicato, DES (drug eluting stent), uno stent metallico ricoperto da farmaco (sirolimus).

Ad oggi gli stent medicati coronarici sono per la maggior parte balloon-expandable e sono considerati la terapia “gold standard” per la gestione della sindrome coronarica acuta e cronica, secondo le linee guida ESC (Società europea di Cardiologia)

Situazione attuale

Grazie ai continui progressi nel campo della cardiologia interventistica, attualmente tutti gli interventi coronarici possono essere eseguiti per via transcutanea, tranne alcune eccezioni in cui il classico intervento cardiochirurgico di bypass nel lungo termine sembra essere più vantaggioso.

L’emodinamista dopo essere diventato padrone della tecnica di angioplastica semplice su vaso singolo, si è confrontato con il trattamento percutaneo delle lesioni multiple e complesse.

Come spiegato anche nella sezione di anatomia, l’albero coronarico presenta 3 rami principali, la coronaria destra, la circonflessa e la discendente anteriore. Ogni ramo dà origine a segmenti secondari, presentando quindi dei punti di biforcazione. La biforcazione più importante è quella del Tronco comune, ossia quella del segmento di coronaria di sinistra da dove si originano la coronaria circonflessa e la discendente anteriore. Proprio per le sue complesse caratteristiche anatomiche è un segmento che fino a qualche tempo fa si trattava esclusivamente con la cardiochirurgia, ma che attualmente può essere trattato anche tramite angioplastica coronarica.

 

Trattamento delle biforcazioni coronariche

Il problema delle biforcazioni coronariche è legato al fatto che se si utilizza un unico stent nel ramo principale si rischia di chiudere il ramo secondario. Se si utilizzano invece tecniche innovative “a due stent” la procedura si associa ad una ridotta percentuale di successo e ad una maggior incidenza di restenosi (nuovo restringimento degli stent) a distanza.

Per questo motivo, il trattamento delle biforcazioni rappresenta da sempre uno degli argomenti maggiormente dibattuti, non solo per l’aspetto tecnico, ma anche e soprattutto per la scelta della migliore strategia in termini di prognosi.

Attualmente, la classificazione più usata per affrontare la lesione che comprende due vasi è quella proposta da Medina, che rimane estremamente semplice, ma anche sufficientemente accurata.

In questa classificazione i tre elementi principali della biforcazione sono rappresentati nell’ordine come: ramo principale (MB) prossimale alla biforcazione, ramo principale (MB) distale alla biforcazione e ramo secondario, anche detto ramo di biforcazione o laterale (SB). Ad ogni elemento, separato da una virgola, è assegnato un valore: 0 in caso di assenza di malattia ed 1 in presenza di stenosi significative (³50%).

Medina A, Suárez de Lezo J, Pan M. A new classification of coronary bifurcation lesions. Rev Esp Cardiol 2006; 59: 183.

Nel corso degli anni la comunità scientifica si è impegnata a sperimentare diverse tecniche di trattamento della patologia aterosclerotica in biforcazione, confrontando varie idee e modalità di approccio.

Il primo congresso internazionale della società europea sul trattamento della biforcazione coronarica è stato eseguito a Bordeaux nel 2005. Ad oggi lo “European Bifurcation Club (EBC)” ha prodotto 14 documenti di consenso, che sono stati stilati dai più grandi esperti in materia. Molti studi su pazienti sono stati eseguiti ed anche molti approcci sono stati cambiati, migliorati o addirittura sconsigliati nella pratica clinica.

Gli esperti nell’ultimo documento di consenso del 2019 raccomandano una valutazione meticolosa dell’anatomia coronarica, una pianificazione del caso ed una cura nei minimi dettagli della tecnica che si decide di intraprendere. La confidenza dell’operatore con la metodica rimane sempre un punto cardine nella decisione finale di approccio.

L’approccio a una biforcazione può essere ad uno o a due stent relativamente alla distribuzione coronarica e alle caratteristiche anatomiche dei vasi. Nel contesto dell’approccio ad uno stent, di comune accordo, la strategia che è stata definita come ottimale è quella del provisional stenting, ossia eseguire un impianto di stent solo nel ramo principale (Main Branch, MB), preservando il flusso di sangue nel ramo secondario con l’inserzione di una seconda guida preventiva sullo stesso (strategia del keep it open). Questo è valido per la maggior parte delle biforcazioni, visto che nella maggioranza dei casi il SB è di minori dimensioni e minore territorio di distribuzione, evitando quindi di apporre un maggior numero di stent con una conseguente maggiore probabilità di restenosi; ciò non toglie comunque lo spazio all’esecuzione di una tecnica a due stent.

Nel 10% dei casi è descritta la necessità dell’utilizzo dell’inserzione di un secondo stent dopo aver inserito lo stent sul MB. A questo punto della procedura si decide se eseguire un T stenting, una TAP (T and small protrusion) o una culotte.

Se si decide si eseguire una T o una TAP, si inserisce usualmente una terza guida coronarica all’interno del SB grazie all’aiuto visivo della guida che è stata incarcerata sotto lo stent. Successivamente, a seconda dell’angolo di biforcazione, si inserisce uno stent a filo, a T (tecnica valida negli angoli di 90°), o uno stent un poco protrudente nel MB (TAP); a concludere l’intervento in entrambi i casi è raccomandato un Kissing balloon (KB) con due palloni, uno nel MB ed uno nel SB, gonfiati contemporaneamente ed una POT (proximal optimization technique) finale sulla parte prossimale dello stent del MB, ossia un nuovo pallone che ottimizza l’espansione delle maglie dello stent precedentemente impiantato.

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Nel caso si scelga fin dall’inizio di procedere con una tecnica “a due stent”, attualmente le modalità più frequentemente utilizzate (perché testate e affermatesi nel corso degli anni) sono: la Culotte, la Crush, la Mini-Crush e quella che sembra essere più promettente la DK Crush (Double Kissing). In questa sede non entreremo nello specifico delle tecniche, ma mostriamo solo la loro rappresentazione grafica.

EuroIntervention: journal of EuroPCR in collaboration with the Working Group on Interventional Cardiology of the European Society of Cardiology 9(7):885-7

Nano-Crush (=mini-crush). Le line nere sono le guide coronariche, i palloni utilizzati sono in blu e in rosso la struttura,  le maglie  degli stent rilasciati

Left main bifurcation stenting assessed by computational fluid dynamic: The impact on wall shear stress forces depends on both specific techniques and bifurcation angles; G Rigatelli M Zuin Cardiovascular Diagnosis and Endoluminal Interventions Unit, Rovigo General Hospital, Rovigo, Italia

 

Aspettiamo nel futuro miglioramenti, e lavoriamo fiduciosi tutti insieme, come comunità di cardiologi emodinamisti, per una standardizzazione globale di tecniche adeguate ad eseguire anche le angioplastiche ancora più complesse ed eliminare completamente il bisogno del bypass aortocoronarico.

 

 

 

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Dott. Carlo Andrea Stazi

Cardiologo emodinamista, esperto nella diagnosi e trattamento percutaneo della cardiopatia ischemica

UOC Emodinamica – Cardiologia, Ospedale Belcolle, ASL Viterbo, Italia;

Visiting Consultant Interventional Cardiology, OLVG; Amsterdam, The Netherlands

 

 

carloandrea.stazi@asl.vt.it