Indice
Introduzione
L’infezione da coronavirus SARS-COV 2 puo’ avere una estrinsecazione fenotipica ampiamente variabile.
Cerchiamo di mettere ordine nel complesso mondo dei possibili test diagnostici contro il coronavirus. Indicazioni e strategie corrette per una corretta diagnosi.
Lo spettro di presentazione clinica, come ampiamente dimostrato da casistiche internazionali, che comprendono ormai più di 4 milioni di infetti, varia da uno stato di completa asintomaticità sino ad un quadro clinico estremamente grave determinante polmonite interstiziale bilaterale, danno multi-organo, sino alla morte.
Nelle fasi pionieristiche (datanti non più di qualche mese orsono) era convinzione comune, erroneamente in parte avallata anche dal mondo scientifico, che solamente i pazienti infetti sintomatici potessero essere veicolo di contagio. Come, purtroppo, l’andamento epidemiologico e gli studi di prevalenza hanno dimostrato, nella maggioranza dei casi l’infezione decorre in maniera asintomatica o paucisintomatica; siffatta tipologia di infetti è, purtroppo, comunque altamente contagiosa, seppur in maniera ridotta rispetto al sintomatico (minor emissione di droplet). Se tale dato, da un lato, può essere letto in maniera positiva in quanto ridimensionerebbe l’indice di letalità del virus, dall’altro pone un gigantesco problema di sanità pubblica.
Dal 4 maggio l’Italia è ufficialmente entrata nella Fase 2, ovvero in una fase in cui sono state allentate le restrizioni alla vita lavorativa, personale e sociale. Lo sforzo della politica sanitaria dovrà essere quello di identificare le persone asintomatiche che: 1) siano venute a contatto col virus e 2) siano ancora in grado di contagiare. Questo sforzo è fondamentale al fine di isolare tempestivamente le persone positive, tracciarne i contatti ed isolarli al fine di smorzare il nascere di nuovi focolai epidemici.
Quali sono le armi che abbiamo a disposizione a tal fine?
I test a disposizione sono essenzialmente di tre tipi:
- TEST RAPIDO
- TEST SIEROLOGICO
- TAMPONE RINO-FARINGEO
I primi due test si basano sulla capacità di rilevare la presenza di anticorpi specifici (Immunoglobuline, Ig) presenti nel sangue circolante del paziente. Si determina la presenza delle IgM ( si sviluppano più rapidamente, si estinguono con il cessare della fase acuta ed indicano malattia in atto e/o recente) e delle IgG (che si sviluppano più lentamente e tendono a perdurare nel tempo, probabilmente conferendo un certo grado di immunità, ed indicano contatto pregresso col virus). La durata e l’ efficacia della immunità conferita dalla presenza di tali anticorpi è purtroppo ancora solo parzialmente valutabile.
Test rapido
Il test rapido è basato su immunocromatografia. Tramite pungidito, si pone una goccia di sangue su una striscia di cellulosa, dove si colorano due linee se c’è positività a IgG e/o IgM.
Si tratta di un test qualitativo: svela solo la presenza o meno degli anticorpi ed ha un tempo di esecuzione rapido di circa 15 minuti.
Tecnicamente può essere effettuato anche in ambiente extraospedaliero ed ha costi
bassi. Ne esistono di diversi tipi (e purtroppo ogni realtà regionale ha in progetto di utilizzarne di diversa tipologia, rendendo più complesso ricostruire un quadro attendibile di sieroprevalenza a livello nazionale) che differiscono sia per sensibilità (probabilità che un soggetto malato risulti positivo al test) che di specificità (probabilità che un soggetto sano presenti negatività al test). In generale, comunque, l’attendibilità dei test di più recente produzione è buona, con sensibilità e specificità superiori al 90%. Nello specifico: la sensibilità per rilevazione IgM varia a seconda del tempo passato dal contagio dal 81 al 97%, rispettivamente se il contatto è tra 4 e 10 gg oppure 11 a 14 gg rispettivamente, IgG intorno al 95.7% dopo 11 giorni dal contagio.
Test sierologico
Il test sierologico è basato su dosaggio quantitativo con titolazione anticorpale tramite metodo in chemiluminescenza od immunoenzimatica. Ha un tempo di esecuzione di circa 2 ore. Viene effettuato nei laboratori di analisi tramite prelievo ematico ed ha una affidabilità generalmente più alta rispetto al precedente. I costi sono più elevati rispetto al test rapido.
Purtroppo entrambi i test non forniscono alcun patentino di immunità ma potrebbero risultare utili sia per studi di siero-prevalenza sulla popolazione sia in alcune particolari logistiche lavorative e/o sociali, come vedremo in seguito.
La positività ad uno dei due test richiede, comunque, per conferma, l’esecuzione del tampone rino-faringeo, che resta il gold-standard per diagnosticare la presenza del virus e per determinare la contagiosità della persona infetta.
Per chiarire una volta per tutte: la positività del test alle IgM vuol dire che il paziente è venuto a contatto recentemente con il virus e probabilmente è ancora nella fase acuta. La positività ad IgG ed IgM implica una fase di transizione ed il paziente potrebbe ancora essere contagioso. La positività alle sole IgG significa che il paziente ha contratto il virus, superando la fase acuta e potrebbe non essere più contagioso (ma va sempre confermato con tampone N.S.)
Tampone rino-faringeo
Tramite il tampone rino-faringeo si ricerca RNA virale che viene amplificato tramite metodica di biologia molecolare nota come Polymerase Chain Reaction (PCR); è un esame che in caso di positività, documenta la presenza del virus e pertanto, indipendentemente dalla presenza dei sintomi, determina lo stato di contagiosità del soggetto. Tale test ha una elevata specificità non accompagnata da pari sensibilità. Pertanto il test, in caso di risultato negativo, va ripetuto per conferma. Attualmente può essere eseguito solo in centri certificati specializzati. In tali centri oggi è possibile processare il tampone in tempi estremamente rapidi (circa 1 ora). Sebbene sia il test diagnostico di riferimento , al momento, per ragioni di natura logistica, non è possibile estenderlo all’intera popolazione a rischio. E’ da utilizzare, pertanto, per quanto riguarda il setting di pazienti ricoverati in ambiente ospedaliero, in regime sia di urgenza che di elezione, come triage iniziale, al fine di non creare commistione con pazienti non-Covid rialimentando pericolosi focolai ospedalieri.
Di seguito 2 algoritmi esemplificativi del possibile campo di applicazione dei diversi test.
Algoritmo 1.
Algoritmo 2.
Conclusioni
Abbiamo a disposizione vari test per la diagnosi di possibile infezione di coronavirus, ma non tutti hanno lo stesso valore, la stessa utilità e soprattutto la stessa efficacia diagnostica.
Il tampone rino faringeo rappresenta il test unico di certezza nella rilevazione del RNA virale e quindi rappresenta il gold standard per la diagnosi di infezione in atto.
I test sierologici, qualitativi o quantitativi rivelano invece solo la presenza di anticorpi in circolo.
La positività del test alle IgM vuol dire che il paziente è venuto a contatto recentemente con il virus e probabilmente è ancora nella fase acuta. La positività ad IgG ed IgM implica una fase di transizione ed il paziente potrebbe ancora essere contagioso. La positività alle sole IgG significa che il paziente ha contratto il virus, superando la fase acuta e potrebbe non essere più contagioso (ma va sempre confermato con tampone N.S.)
Contatta l’esperto in merito a quest’argomento
Dott. Roberto Andini
Medico infettivologo
Dirigente Medico I livello
UOC Medicina infettivologica e dei Trapianti
AORN dei Colli – Ospedale Monaldi
Università della Campania L. Vanvitelli
Dott. Orlando Piro
Cardiologo Emodinamista,
Dirigente Medico I livello
UOC Cardiologia interventistica
AORN dei Colli – Ospedale Monaldi
Napoli